mercoledì 25 maggio 2011

Il Siciliano a scuola

Il Siciliano a scuola, il primo passo verso l’istruzione federale


I corsi si terranno nelle scuole siciliane; si studierà presto il dialetto e la storia regionale. Lo spettro di una nuova Spagna inizia a concretizzarsi
Matematica, inglese, storia e...siciliano. Sì, avete capito bene. Nell'isola di Sciascia e Camilleri, gli studenti impareranno il dialetto. A scuola. Lo ha deciso la scorsa settimana l'Assemblea regionale, approvando una legge, promossa dall'Mpa, che istituisce il "siciliano" tra le materie da studiare sui banchi di scuola.

L'approvazione trova il sì di tutti i partiti. “Siamo fieri della nostra cultura e delle nostre tradizioni” spiega il governatore Raffaele Lombardo. “Per questo sono orgoglioso di questa legge che preserva il nostro immenso patrimonio storico e letterario, ponendo le premesse per renderlo parte integrante dei processi formativi delle nuove generazioni”. In pratica un ritorno al passato ed un pericoloso precedente che può rinvigorire le spinte centrifughe sempre più presenti anche nel Meridione.

La legge prevede l'insegnamento delle nuove materie nelle scuole elementari, medie e superiori. Facile la definizione della legge, ben più complessa la sua applicazione. L'amministrazione regionale cercherà una strada non traumatica attraverso il coinvolgimento dei dirigenti scolastici e degli insegnanti. Si tratta, secondo la Regione “di una norma a costo zero” in quanto “le materie che saranno proposte rientreranno nelle quote degli attuali piani obbligatori di studio riservate dalla legge Moratti alle Regioni, senza aumento dell'orario scolastico”.

Così, la prima applicazione del federalismo scolastico arriva inaspettatamente dal Sud, scrive dirittodicritica.it in un lungo articolo; e nell'era della globalizzazione sembra stonare. Questa scelta può essere il primo passo verso quella “scuola federale” richiesta a gran voce dalla Lega. Le conseguenze possono essere serie: vedremo un giorno parlamentari utilizzare il proprio dialetto durante le sedute, pur conoscendo perfettamente la lingua nazionale, come avviene oggi in Spagna?

“Ormai siamo alla stupidità”, dichiara lo scrittore Vincenzo Consolo. “Una bella regressione sulla scia dei 'lumbard'. Che senso hanno i regionalismi e i localismi in un quadro politico e sociale già abbastanza sfilacciato? Abbiamo una grande lingua, l'italiano, che tra l'altro è nata in Sicilia: perché avvizzirci sui dialetti? Io sono per la lingua italiana, quella che ci hanno insegnato i nostri grandi scrittori, e tutto ciò che tende a sminuirla mi preoccupa". Ma non è l'unico ad essere dubbioso sulla scelta. Più possibilista è Andrea Camilleri secondo il quale “sarebbe deleterio legiferare l'obbligatorietà del dialetto. Abbiamo una lingua, l'italiano, che al 90% è stata l'artefice dell'unificazione del Paese, e dobbiamo salvaguardarla. I dialetti sono una grande risorsa per la lingua madre e tali devono restare. Esistono solo perché c'è un idioma condiviso da tutti. Ad esempio, invece di saccheggiare le lingue straniere, basti vedere l'abuso di anglismi oggigiorno, potremmo attingere ai nostri dialetti per innervare l'italiano e per salvare la nostra memoria. Ed è quello che io faccio nei miei romanzi".

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