lunedì 4 luglio 2011

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Web visto da Positano news, ambiente, tigri del Bengala, un caso raro in cui a rimetterci è l'uomo

E' stata di recente istituita in Bangladesh una task force per tutelare le 400 tigri del Bengala che vivono nel Parco nazionale del Sundarbans, la più grande estensione di foresta di mangrovie al mondo.
La decisione, che si attendeva da tempo, scrive paesitropicali.com, è stata presa dopo l'ultimo sequestro di pellicce, ossa, denti ed altre parti del maestoso animale in via d'estinzione, tuttora sconsideratamente utilizzate nella medicina tradizionale cinese o in cucina.

Se le guardie e i ranger possono servire a scoraggiare i bracconieri, sono di scarsa utilità a placare la rabbia delle popolazioni locali, spesso vittime degli attacchi dei grandi felini. Perché in Bangladesh decine e decine di pescatori vengono uccise ogni anno dalle tigri “mangia-uomini” e il numero di attacchi mortali è purtroppo in aumento.

Le Sundarbans, ai confini tra Bangladesh e India, sono luoghi selvatici, habitat delle tigri ma anche degli esseri umani. Circa mezzo milione di persone vive a stretto contatto con la foresta e da essa in parte dipende: qui i capi famiglia vengono a pescare, a raccogliere miele o a tagliare legna.
Non è facile educare le popolazioni locali a proteggere le tigri quando questi animali, che hanno sviluppato una singolare propensione per la carne umana, stanno diventando una fabbrica di vedove e di orfani.

Più spesso i felini uccidono in foresta ma di notte si spingono furtivamente anche nei villaggi, per predare mucche e capre e, quando capita, esseri umani. Quali sono le cause del conflitto?
Nei Sundarbans vive la popolazione di tigri più numerosa al mondo; la foresta di mangrovie, che si estende per circa 20mila chilometri quadrati, è un'area protetta dal 1973 inclusa nella lista dei siti patrimonio mondiale. Il suo ruolo è di fondamentale importanza: non soltanto protegge il paese dai devastanti cicloni provenienti dal golfo del Bengala, ma è anche l'habitat di moltissime specie adattate alle particolari condizioni di questo ambiente d'estuario, che non ha eguali in termini di biodiversità.

L'area è regolarmente inondata dalle maree del golfo del Bengala e l'acqua dolce, seppure garantita dall'afflusso del Gange, scarseggia in certi periodi dell'anno; l'innalzamento del livello del mare registrato nell'ultimo decennio contribuisce ad aumentare la salinità del luogo e le tigri hanno difficoltà a trovare acqua da bere. Anche le prede cominciano a scarseggiare e questo rende i grandi felini sempre più affamati.
Le tigri del Bengala hanno imparato a nutrirsi più di pesce che di cinghiali, cervi e altri grossi mammiferi, sempre meno disponibili; sono abilissime nuotatrici e andando in cerca di prede salgono a bordo delle barche mentre il pescatore dorme, attirate non tanto dalla presenza dell'uomo, quanto dal pescato conservato sotto le assi delle piccole imbarcazioni.

La convivenza non è facile; la gente è conscia del pericolo ma l'estrema povertà spinge i locali a frequentare quest'ambiente selvaggio, popolato non soltanto da tigri ma anche da serpenti velenosi e temibili coccodrilli marini, che si nascondono nelle acque torbide della laguna.
Gli abitanti dei villaggi rurali continuano ad andare nella fitta boscaglia per raccogliere miele e, impegnati nella ricerca degli alveari, non si accorgono che alle loro spalle c'è un felino affamato in agguato. Gli uomini usano indossare maschere dietro la nuca, che pare scoraggino le tigri ad attaccare alle spalle, costruiscono recinti e cercano quando possibile di lasciare illuminati i villaggi durante la notte.
Quando un felino si introduce nei pressi delle zone abitate viene circondato e il più delle volte colpito con frecce sedative; ma non sempre è possibile. L'anno scorso 51 persone sono state attaccate dalle tigri; i locali, dal canto loro, ne hanno uccise tre. Un crimine compiuto dalla comunità contro la vita selvatica o lotta per la propria sopravvivenza?

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