venerdì 1 luglio 2011

Livio Borriello, Renato Rovetta, una vita da eretico

“Una vita da eretico” – ma anche: una vita da eretista: mai un attimo di sosta, un’impellenza felicemente patologica di scrivere, di agire, di scrivere per agire, di svelare continuamente la realtà per trasformarla… Questa la vita di Renato Rovetta, ex rampollo altoborghese, ex sessantottino, ex podista, ex insegnante, ex giornalista dell’Unità, ex tutto, ed ora solo liberissimo battitore del giornalismo italiano sul glorioso sito satirico bresciablob.com.(*) Rovetta questa vita ce la racconta con una formula letteraria piuttosto insolita, quella dell’autobiografia in terza persona. Espediente assai opportuno, che da una parte attribuisce alle vicende un tono più narrativo, dall’altra impedisce all’autore di imbrodarsi in un’autocelebrazione, lo costringe a un’analisi più distaccata e obiettiva, e lo dispensa da tutta una serie di psicologismi estranei alla sua natura.
Il racconto, che attraversa tutti i 60 anni della storia della nostra repubblica, e che ad essa si intreccia strettamente, procede dunque come una sequenza serrata e avvincente di fatti, che sarà compito del lettore dare interpretare.
Nato da una famiglia “ricca” del Nord, condizione già in sè emblematica, Rovetta, che nel racconto si chiama Giovannino (con un diminutivo che sembra l’unico atto di tenerezza che l’autore concede a se stesso) manifesta immediatamente la sua irrimediabile irrequietezza e diversità, elude le aspettative paterne e si dedica con tutto se stesso all’impegno politico. A Brescia non mancano i conformismi da denunciare, gli anni sono caldi e ancora c’è chi crede a certi ideali, ma Giovannino non smetterà di crederci per tutta la vita. La sua insofferenza alle regole e il suo senso etico rigoroso, talvolta rigido, lo mettono subito in conflitto col mondo, con la scuola, con le donne, con gli amati odiati bresciani, col potere democristiano prima, con quello berlusconiano poi, con gli stessi compagni della sinistra, per cui fuoriesce dall’ Unità e dopo lunghe vicissitudini approda a fondare un sito di fronda, bresciablob appunto, che è uno dei pochissimi in Italia, e potremmo forse ipotizzare il solo, da cui la censura sia realmente, coraggiosamente e totalmente bandita. Rovetta è un fazioso, questo lo dicono tutti e in verità lo deplora anche l’estensore di questo articolo. Tutto quello che fa Berlusconi è sempre sbagliato, tutto quello che va contro Berlusconi è sempre giusto. Ma è un fazioso volterriano, un fazioso etico e corretto. Non dubitiamo che sul suo foglio virtuale accoglierebbe gli scritti di Hitler redivivo, o peggio, di Berlusconi in persona, se costoro gliene inviassero, come accoglie di fatto interventi provenienti da tutte le aree d’opinione. Rovetta crede fino in fondo alla sue idee, ma proprio perchè ci crede fino in fondo, e non fino a un certo punto come i faziosi della politica nostrana, riconosce a ciascuno un diritto sacro e inviolabile, quello di esistere in ciò che è più proprio all’umano, in ciò che ci costituisce più radicalmente e essenzialmente: di esistere nella parola. Rovetta è dunque un assolutista sul piano politico, un democratico su quello ontologico.
Attualmente Giovannino, ma ahimè anche Rovetta, sta facendo i conti con la malattia. Colpito, lui così infaticabile, da un ictus, deve costringere la sua energia esplosiva in un letto d’ospedale, e riesce a fatica a portare avanti il suo sito. Ma lo fa con la stesso spirito irridente di sempre, reso solo più amaro dalla conoscenza dei nuovi territori del male, non solo fisico, che la malattia gli ha dischiuso. E’ da dire anzi che le pagine più drammatiche del libro, quelle sulla malattia come anche quelle sulla morte della sorella, sono letterariamente le più pregevoli. E questo lo diciamo non per vizio di dolorismo, non per indulgere in quel deprecabile costume critico che disconosce l’alto valore del comico per riconoscere dignità e profondità solo al tragico. Al contrario, queste pagine traggono il loro spessore e la loro intensità proprio dal contrasto fra la materia tragica e il vitalismo di Rovetta, fra i pesanti limiti che gli impone la realtà e il continuo sberleffo con cui la irride. Così che, piuttosto cinicamente, si finisce per ringraziare il caso singolare che ci ha permesso di ammirare uno scrittore satirico alle prese con un tema così drammatico.
Rovetta ce la farà, ne uscirà – lentamente, certo – andrà avanti, e se non andrà avanti avrà già fatto quasi abbastanza, poichè non è mai abbastanza vivere intensamente. Intanto ha fatto quello che in fondo più gli premeva, scrivere e raccontare la sua vita da eretico, la sua vita che non ha mai delegato a nessuno, che non ha mai alienato al denaro, all’amore o al cielo – la sua vita che proprio perciò è stata una vita.

Nessun commento:

Posta un commento