lunedì 6 maggio 2013

La casa dei piedi felici, una storia americana, così il Savoy, mitica sala da ballo anni '30, Harlem ,New York

La casa dei piedi felici HARLEM Lana Turner chiamava così il Savoy, mitica sala da ballo dove negli anni '30 si danzava il Lindy Hop. Un ballo simbolo dell'integrazione razziale che oggi torna di moda, dagli Usa all'Europa di Laura Lazzaroni Foto di G. Giraldo Mia madre era una degli habitués, il sabato tirava tardi e la domenica raccontava storie di gangster che venivano a ballare e al guardaroba lasciavano cappotti chiari e pistole...". Le forme generose strizzate in un abito di seta lilla, Karen siede a un tavolo rotondo e alza la voce per farsi sentire sopra alla musica. È lo scorso marzo e siamo a Harlem, New York, dove si festeggia un evento unico: l'80esimo anniversario del Savoy ballroom, la leggendaria sala da ballo a due passi dal Cotton Club dove negli anni Trenta, sullo swing rigorosamente dal vivo dei più grandi jazzisti in circolazione, nasceva un ballo famosissimo e acrobatico (il Lindy Hop) e si scriveva un capitolo importante della storia dell'integrazione. In pista non esisteva status, se non quello della danza: bianchi e neri facevano coppia e delle star che entravano si diceva per esempio: "Sì, va bene, è Clark Gable: ma sa ballare?". Dal 1958 il Savoy non esiste più (al suo posto c'è il complesso residenziale Delano Village) e dunque si festeggia all'Alhambra ballroom, pochi metri da lì, pareti bianche e dorate, lampadari, palchi rotondi con décor che sembrano meringhe e un pubblico di tutti i colori e le età. Ma questa non è una storia di nostalgia: negli ultimi anni lo spirito del Savoy - il Lindy Hop, il rito della gara, il corteggiamento da sala, persino i costumi - ha contagiato nuove generazioni un po' in tutto il mondo, alimentando un vero e proprio "rinascimento", con corsi, show tv, tournée, film e spot. Ragazzi per cui il Lindy Hop non è meno "hip" - giusto - del pop. Sneakers e giacche enormi È un'occasione più unica che rara questa di vedere vecchia e nuova scuola gomito a gomito. Ci sono alcuni dei ballerini originali del Savoy, gli uomini in tre pezzi, fazzoletti da taschino e scarpe bicolori, alcuni con il cosiddetto "zoot", l'abito sgargiante con i pantaloni con le pinces a vita alta, e la giacca oversize stile Al Capone; le donne con grandi cappelli, fiori e abiti di lamé e raso, spesso più di uno, da alternare nel corso della giornata di festeggiamenti; tutti con portamento regale, battute pronte e quel tanto olio nelle giunture che permette di scendere in pista come ai vecchi tempi; accanto a loro, giovani "punk dello swing" con camicie di seta, gonne corte, sneaker e capelli arruffati: hanno un'energia fresca, contagiosa e spirito da vendere. Una coppia di mezz'età improvvisa una figura, l'uomo aggancia la partner per i gomiti e cerca di proiettarla oltre la propria schiena ma la poveretta finisce lunga distesa: da un tavolo vicino una ragazza sorride indulgente: "Non capisco perché si ostinino a provarci: prima o poi finisce che si fanno male e non sarà un bello spettacolo". Certo, nessuno si permetterebbe di dire lo stesso di Frankie Manning, il "Fred Astaire" del Lindy Hop: insieme alla sua "Ginger", Frieda Washington, ha inventato molte delle figure più acrobatiche. Era il 1935 e Manning faceva parte dei Whitey's Lindy Hoppers, l'élite dei ballerini del Savoy riunita da Herbert "Whitey" White, ex buttafuori. Oggi Manning si aggira in sala con un sorriso soddisfatto (l'episodio di Clark Gable l'ha raccontato lui), a ragione: a 91 anni è nella Hall of Fame del National museum of dance e resta un testimonial infaticabile del Lindy e di quella che è una vera filosofia del divertimento spensierato. "Il Lindy Hop si è evoluto dal Charleston nella Harlem degli anni Venti, accompagnato dallo swing dei jazzisti che facevano la spola tra il Savoy e il Cotton Club, che distava appena un isolato, sullo stesso lato della strada: Satchmo, il Duca, Benny Goodman, Dizzy Gillespie, Thelonious Monk. Chi l'avrebbe detto che sarebbe arrivato fino a qui!". Parla Terry Monaghan, storico del ballo ed esperto di Savoy, l'uomo che con Elliott Donnelley e Chad Fasca, due promoter di eventi e corsi di swing a San Francisco e Manhattan, ha organizzato l'imponente celebrazione: più di cento invitati, ballerini e jazzisti del Savoy con famiglie, una folla di fotografi e cameramen, una serata di danze, una targa in memoria del locale (con le date di "nascita", 12-3-1926, e "morte", 10-7-1958). Uno dei momenti topici della giornata è probabilmente la tavola rotonda, che riunisce accademici e "testimoni oculari" per discutere il ruolo di equalizzatore sociale del celebre dancing. "Siamo state le prime persone al mondo a essere integrate", dice Norma Miller, una delle originali "Whitey Lindy Hoppers". Monaghan puntualizza: "In principio l'integrazione al Savoy non era così permeante come si crede, il pubblico era prevalentemente di afroamericani, gente della comunità locale. I nomi dei singoli ballerini non erano noti, erano indicati collettivamente come i "lindyhoppers del Savoy" o "quelli di Whitey", in parte per distinguerli da quelli californiani, in parte perché questo "anonimato" era il prodotto di una visione diminutiva della figura del ballerino nero, di un'ottica di discriminazione prevalente: sono neri, dunque ballano, come un'entità astratta, senza dignità individuale. Poi col tempo sono emersi i protagonisti, la scena ha guadagnato mordente, si è aperta a tutti e ha contribuito davvero a cambiare la percezione degli afroamericani: lo swing ha messo tutti sulla stessa pagina". Tra vecchi leoni e social dancers Lo stesso vale per la sera dell'anniversario: afroamericani, caucasici, ispanici, quando è il momento delle danze bianco e nero non esistono, se non nei gessati dei signori per bene. Si comincia con i piccoli di 12-13 anni, si prosegue con i social dancers, ragazzi di venti, trent'anni, di New York, San Francisco, Houston. Più tardi balleranno insieme ai vecchi leoni, ma per ora la pista è loro: Michael ha 33 anni, lavora in una società di servizi web e viene dal New Jersey, ha aloni di sudore sotto le ascelle ma per il resto è impeccabile, in camicia grigia, gilet nero stretto e coppola: "Adoro il Lindy e lo ballo da cinque anni", dice. "L'ho scoperto su Internet, ho trovato una delle molte scuole di ballo di Manhattan dove si insegnava, ho scoperto una comunità di coetanei appassionati come me: alcuni partecipano persino a gare ufficiali (il prossimo ottobre, lo Sheraton Hotel di Stamford in Connecticut ospiterà la nona edizione dell'American Lindy Hop Championships, nda). Mi piace perché rappresenta la perfetta armonia tra struttura e improvvisazione libera: si balla in coppia, con "breaks", "assoli" che coincidono con le transizioni della musica, e naturalmente le figure acrobatiche, aeree. Si può fare quello che si vuole sul 5, 6, 7, 8 a patto di essere di nuovo in posizione all'1!". Monaghan non si stupisce dell'entusiasmo di Michael e degli altri giovani, e spiega che il Lindy non è mai veramente passato di moda: i GI (i militari) e le pellicole di Hollywood l'hanno introdotto in Europa (dopo la Seconda guerra mondiale lo chiamavano "jitterbug"). Negli anni Cinquanta, con l'esplosione del rock & roll, gli entusiasmi si sono intiepiditi, ma "ha cominciato a tornare di moda negli anni Ottanta e più decisamente negli anni Novanta, con film come Malcolm X di Spike Lee, che incorporavano sequenze di Lindy, con la partecipazione speciale di alcuni dei ballerini del Savoy, e gli spot di "Gap khakis"", dice Monaghan. I motivi del rinascimento del genere sono molti. "Intanto, è tornata di moda la musica che lo accompagnava originariamente, il jazz delle Big Band: a New York da qualche estate il Lincoln center organizza la rassegna Midsummer Night Swing (swing di una notte di mezza estate, quest'anno si replica fino al 22 luglio). Per le nuove generazioni di afroamericani il Lindy fa parte di una riscoperta di costumi e forme di espressione artistica vicini alle radici. Per tutti, ha contribuito la riscoperta dei balli da sala: il Lindy in fin dei conti è imparentato con la salsa, il mambo, il cha cha cha, il tango e la rumba. Balli che permettevano anche un corteggiamento tradizionale e audace perché consentivano il contatto con il corpo della compagna". I migliori corsi di ballo swing a Manhattan sono richiestissimi. Si costituiscono società ad hoc, sulla falsariga della New York swing dance society, inaugurata da un gruppo di giovani di qui nel 1985; esiste persino una Lindy Hop society del Massachusetts Institute of Technology, il cui programma annuncia "balliamo sulle note di swing, blues e hip-hop"; si moltiplicano serate ed eventi a tema, compresa una Savoy night (una domenica al mese) all'Irving plaza, tempio della musica di New York. Se fino ai primi anni Novanta Usa, Regno Unito e Svezia erano l'epicentro di questa rinascita (la cittadina di Herräng, a nord di Stoccolma ospita da vent'anni un "camp" organizzato dagli "Harlem hot shots"), in breve l'ondata ha raggiunto Germania, Svizzera, Francia, Russia. Aggiunge Monaghan che "fino a cinque anni fa non si poteva parlare di una vera e propria scena italiana, oggi sì". È stato Internet ad accelerare il dialogo e l'organizzazione dei gruppi di fan: basta connettersi al sito www.lindyhop.it per link e calendari di eventi. Monaghan cita anche il fattore competizione: "Con gare e campionati in tutto il mondo, molti sono trascinati dalla sfida. E non si può dimenticare l'elemento acrobatico: le ragazze in particolare adorano volare e incitano i partner: "Coraggio, lanciami in aria!". Secondo lui il movimento ha un potenziale enorme: "L'ultimo ostacolo è forse un certo pregiudizio diffuso nei confronti di tutto quello che si percepisce come "pop culture": si tende a non prenderlo sul serio, ma anche quello cambierà; in fin dei conti, lo vuole la gente". Oggi come ieri, in ogni sala dove si balli il Lindy rivive per un attimo lo spirito del Savoy. Che Lana Turner chiamava "La casa dei piedi felici". da repubblica.it