lunedì 6 maggio 2013

La casa dei piedi felici, una storia americana, così il Savoy, mitica sala da ballo anni '30, Harlem ,New York

La casa dei piedi felici HARLEM Lana Turner chiamava così il Savoy, mitica sala da ballo dove negli anni '30 si danzava il Lindy Hop. Un ballo simbolo dell'integrazione razziale che oggi torna di moda, dagli Usa all'Europa di Laura Lazzaroni Foto di G. Giraldo Mia madre era una degli habitués, il sabato tirava tardi e la domenica raccontava storie di gangster che venivano a ballare e al guardaroba lasciavano cappotti chiari e pistole...". Le forme generose strizzate in un abito di seta lilla, Karen siede a un tavolo rotondo e alza la voce per farsi sentire sopra alla musica. È lo scorso marzo e siamo a Harlem, New York, dove si festeggia un evento unico: l'80esimo anniversario del Savoy ballroom, la leggendaria sala da ballo a due passi dal Cotton Club dove negli anni Trenta, sullo swing rigorosamente dal vivo dei più grandi jazzisti in circolazione, nasceva un ballo famosissimo e acrobatico (il Lindy Hop) e si scriveva un capitolo importante della storia dell'integrazione. In pista non esisteva status, se non quello della danza: bianchi e neri facevano coppia e delle star che entravano si diceva per esempio: "Sì, va bene, è Clark Gable: ma sa ballare?". Dal 1958 il Savoy non esiste più (al suo posto c'è il complesso residenziale Delano Village) e dunque si festeggia all'Alhambra ballroom, pochi metri da lì, pareti bianche e dorate, lampadari, palchi rotondi con décor che sembrano meringhe e un pubblico di tutti i colori e le età. Ma questa non è una storia di nostalgia: negli ultimi anni lo spirito del Savoy - il Lindy Hop, il rito della gara, il corteggiamento da sala, persino i costumi - ha contagiato nuove generazioni un po' in tutto il mondo, alimentando un vero e proprio "rinascimento", con corsi, show tv, tournée, film e spot. Ragazzi per cui il Lindy Hop non è meno "hip" - giusto - del pop. Sneakers e giacche enormi È un'occasione più unica che rara questa di vedere vecchia e nuova scuola gomito a gomito. Ci sono alcuni dei ballerini originali del Savoy, gli uomini in tre pezzi, fazzoletti da taschino e scarpe bicolori, alcuni con il cosiddetto "zoot", l'abito sgargiante con i pantaloni con le pinces a vita alta, e la giacca oversize stile Al Capone; le donne con grandi cappelli, fiori e abiti di lamé e raso, spesso più di uno, da alternare nel corso della giornata di festeggiamenti; tutti con portamento regale, battute pronte e quel tanto olio nelle giunture che permette di scendere in pista come ai vecchi tempi; accanto a loro, giovani "punk dello swing" con camicie di seta, gonne corte, sneaker e capelli arruffati: hanno un'energia fresca, contagiosa e spirito da vendere. Una coppia di mezz'età improvvisa una figura, l'uomo aggancia la partner per i gomiti e cerca di proiettarla oltre la propria schiena ma la poveretta finisce lunga distesa: da un tavolo vicino una ragazza sorride indulgente: "Non capisco perché si ostinino a provarci: prima o poi finisce che si fanno male e non sarà un bello spettacolo". Certo, nessuno si permetterebbe di dire lo stesso di Frankie Manning, il "Fred Astaire" del Lindy Hop: insieme alla sua "Ginger", Frieda Washington, ha inventato molte delle figure più acrobatiche. Era il 1935 e Manning faceva parte dei Whitey's Lindy Hoppers, l'élite dei ballerini del Savoy riunita da Herbert "Whitey" White, ex buttafuori. Oggi Manning si aggira in sala con un sorriso soddisfatto (l'episodio di Clark Gable l'ha raccontato lui), a ragione: a 91 anni è nella Hall of Fame del National museum of dance e resta un testimonial infaticabile del Lindy e di quella che è una vera filosofia del divertimento spensierato. "Il Lindy Hop si è evoluto dal Charleston nella Harlem degli anni Venti, accompagnato dallo swing dei jazzisti che facevano la spola tra il Savoy e il Cotton Club, che distava appena un isolato, sullo stesso lato della strada: Satchmo, il Duca, Benny Goodman, Dizzy Gillespie, Thelonious Monk. Chi l'avrebbe detto che sarebbe arrivato fino a qui!". Parla Terry Monaghan, storico del ballo ed esperto di Savoy, l'uomo che con Elliott Donnelley e Chad Fasca, due promoter di eventi e corsi di swing a San Francisco e Manhattan, ha organizzato l'imponente celebrazione: più di cento invitati, ballerini e jazzisti del Savoy con famiglie, una folla di fotografi e cameramen, una serata di danze, una targa in memoria del locale (con le date di "nascita", 12-3-1926, e "morte", 10-7-1958). Uno dei momenti topici della giornata è probabilmente la tavola rotonda, che riunisce accademici e "testimoni oculari" per discutere il ruolo di equalizzatore sociale del celebre dancing. "Siamo state le prime persone al mondo a essere integrate", dice Norma Miller, una delle originali "Whitey Lindy Hoppers". Monaghan puntualizza: "In principio l'integrazione al Savoy non era così permeante come si crede, il pubblico era prevalentemente di afroamericani, gente della comunità locale. I nomi dei singoli ballerini non erano noti, erano indicati collettivamente come i "lindyhoppers del Savoy" o "quelli di Whitey", in parte per distinguerli da quelli californiani, in parte perché questo "anonimato" era il prodotto di una visione diminutiva della figura del ballerino nero, di un'ottica di discriminazione prevalente: sono neri, dunque ballano, come un'entità astratta, senza dignità individuale. Poi col tempo sono emersi i protagonisti, la scena ha guadagnato mordente, si è aperta a tutti e ha contribuito davvero a cambiare la percezione degli afroamericani: lo swing ha messo tutti sulla stessa pagina". Tra vecchi leoni e social dancers Lo stesso vale per la sera dell'anniversario: afroamericani, caucasici, ispanici, quando è il momento delle danze bianco e nero non esistono, se non nei gessati dei signori per bene. Si comincia con i piccoli di 12-13 anni, si prosegue con i social dancers, ragazzi di venti, trent'anni, di New York, San Francisco, Houston. Più tardi balleranno insieme ai vecchi leoni, ma per ora la pista è loro: Michael ha 33 anni, lavora in una società di servizi web e viene dal New Jersey, ha aloni di sudore sotto le ascelle ma per il resto è impeccabile, in camicia grigia, gilet nero stretto e coppola: "Adoro il Lindy e lo ballo da cinque anni", dice. "L'ho scoperto su Internet, ho trovato una delle molte scuole di ballo di Manhattan dove si insegnava, ho scoperto una comunità di coetanei appassionati come me: alcuni partecipano persino a gare ufficiali (il prossimo ottobre, lo Sheraton Hotel di Stamford in Connecticut ospiterà la nona edizione dell'American Lindy Hop Championships, nda). Mi piace perché rappresenta la perfetta armonia tra struttura e improvvisazione libera: si balla in coppia, con "breaks", "assoli" che coincidono con le transizioni della musica, e naturalmente le figure acrobatiche, aeree. Si può fare quello che si vuole sul 5, 6, 7, 8 a patto di essere di nuovo in posizione all'1!". Monaghan non si stupisce dell'entusiasmo di Michael e degli altri giovani, e spiega che il Lindy non è mai veramente passato di moda: i GI (i militari) e le pellicole di Hollywood l'hanno introdotto in Europa (dopo la Seconda guerra mondiale lo chiamavano "jitterbug"). Negli anni Cinquanta, con l'esplosione del rock & roll, gli entusiasmi si sono intiepiditi, ma "ha cominciato a tornare di moda negli anni Ottanta e più decisamente negli anni Novanta, con film come Malcolm X di Spike Lee, che incorporavano sequenze di Lindy, con la partecipazione speciale di alcuni dei ballerini del Savoy, e gli spot di "Gap khakis"", dice Monaghan. I motivi del rinascimento del genere sono molti. "Intanto, è tornata di moda la musica che lo accompagnava originariamente, il jazz delle Big Band: a New York da qualche estate il Lincoln center organizza la rassegna Midsummer Night Swing (swing di una notte di mezza estate, quest'anno si replica fino al 22 luglio). Per le nuove generazioni di afroamericani il Lindy fa parte di una riscoperta di costumi e forme di espressione artistica vicini alle radici. Per tutti, ha contribuito la riscoperta dei balli da sala: il Lindy in fin dei conti è imparentato con la salsa, il mambo, il cha cha cha, il tango e la rumba. Balli che permettevano anche un corteggiamento tradizionale e audace perché consentivano il contatto con il corpo della compagna". I migliori corsi di ballo swing a Manhattan sono richiestissimi. Si costituiscono società ad hoc, sulla falsariga della New York swing dance society, inaugurata da un gruppo di giovani di qui nel 1985; esiste persino una Lindy Hop society del Massachusetts Institute of Technology, il cui programma annuncia "balliamo sulle note di swing, blues e hip-hop"; si moltiplicano serate ed eventi a tema, compresa una Savoy night (una domenica al mese) all'Irving plaza, tempio della musica di New York. Se fino ai primi anni Novanta Usa, Regno Unito e Svezia erano l'epicentro di questa rinascita (la cittadina di Herräng, a nord di Stoccolma ospita da vent'anni un "camp" organizzato dagli "Harlem hot shots"), in breve l'ondata ha raggiunto Germania, Svizzera, Francia, Russia. Aggiunge Monaghan che "fino a cinque anni fa non si poteva parlare di una vera e propria scena italiana, oggi sì". È stato Internet ad accelerare il dialogo e l'organizzazione dei gruppi di fan: basta connettersi al sito www.lindyhop.it per link e calendari di eventi. Monaghan cita anche il fattore competizione: "Con gare e campionati in tutto il mondo, molti sono trascinati dalla sfida. E non si può dimenticare l'elemento acrobatico: le ragazze in particolare adorano volare e incitano i partner: "Coraggio, lanciami in aria!". Secondo lui il movimento ha un potenziale enorme: "L'ultimo ostacolo è forse un certo pregiudizio diffuso nei confronti di tutto quello che si percepisce come "pop culture": si tende a non prenderlo sul serio, ma anche quello cambierà; in fin dei conti, lo vuole la gente". Oggi come ieri, in ogni sala dove si balli il Lindy rivive per un attimo lo spirito del Savoy. Che Lana Turner chiamava "La casa dei piedi felici". da repubblica.it

venerdì 20 gennaio 2012

Laboratorio delle parole,dieta mediterranea

Internet isola felice
in un mare di crisi, geniale idea di un gruppo di studenti

Giovanni Farzati
studenti Unical e la loro idea bruillante; hanno sfidato la crisi,lo hanno fatto con internet; hanno dato vita ad un nuovo modello di mercato che ha superato in meno di 48 ore oltre 16.000 pagine visitate da 15 Nazioni;il Marketplace è reperibile su www.dispensasimplymed.it o su www.dietamediterraneasrl.it; l'idea; far conoscere, vendere il cibo sano, salutare, prodotto dai contadini italiani.

Allo stesso tempo l'agguerrito gruppo di smanettoni della rete, ha creato un luogo nel quale non può accedere il prodotto imitato e per questo l'iniziativa è stata subito condivisa da istituzioni come Coldiretti, Campagna Amica e CO.FI.R. presenti con i loro prodotti; una nicchia di mercato, quella della rete,
che fattura oltre 20 miliardi di euro che vengono intascate, però, dalle multinazionali estere.

Il sistema di vendita si chiama "Simply Med" che significa Semplicemente Mediterraneo e opera in una nicchia di mercato riconosciuta dall'UNESCO come patrimonio dell'Umanità: la Dieta Mediterranea.

venerdì 13 gennaio 2012

Ciuffo seducente ciak2

HO PAURA,SONO OPERAIO, LAVORARE E' LA SOLA COSA CHE SO FARE,ADESSO HO PERSO IL LAVORO, HO VENDUTO L'AUTO, HO PAURA, HO PAURA, HO PAURA DI TUTTO, HO PAURA DI ME STESSO. gf


La crisi continua a fare vittime. E dopo i suicidi di imprenditori, in Veneto il dramma della disoccupazione colpise ora anche gli operai. L'ultimo caso è quello di un operaio metalmeccanico 45enne, senza lavoro da quattro mesi: si è tolto la vita nella taverna della sua abitazione. E' accaduto in provincia di Vicenza. Secondo quanto riportato dal Corriere del Veneto l'azienda dove l'uomo lavorava, a settembre aveva ridotto il personale a causa della crisi, e fra le persone lasciate a casa c'era anche lui. Il disoccupato viveva da solo con la madre anziana, 82 anni: ieri ha atteso che la donna uscisse di casa per fare la spesa ed è sceso in taverna per togliersi la vita.

Gli inquirenti hanno descritto l'uomo come vittima di una grave depressione, per più motivi: assillato dall'idea di non riuscire più a mantenersi, tormentato da alcuni dissidi famigliari, turbato a causa della perdurante disoccupazione. Nella taverna, l'operaio ha preso una vecchia pistola a tamburo, se l'è puntata alla testa e ha fatto fuoco. La madre al ritorno l'ha trovato sul pavimento, in una pozza di sangue. Secondo i carabinieri di Thiene l'arma, priva di matricola, era un revolver della Prima guerra mondiale. All'operaio già nel 1996 era stato tolto il porto d'armi, a causa delle ricorrenti crisi depressive.

«Purtroppo, quando si passa da una vita normale a una condizione ai margini della povertà, la disperazione rischia di prendere il sopravvento - commenta Riccardo Dal Lago, segretario vicentino della Uil - Questi sono mesi in cui Vicenza ha perso molti posti di lavoro, e ricollocare le persone è sempre più difficile: si può e si deve fare di più in termini di riqualificazione professionale, anche perché certe situazioni nel futuro saranno sempre più spesso quotidianità». Per Franca Porto, segretaria veneta della Cisl, «ci vuole anzitutto grande rispetto per la persona che muore e per chi resta, in queste situazioni. Il lavoro è importantissimo, tutti quelli che hanno delle responsabilità devono darsi da fare perché ci sia. Ma in generale ogni persona, ogni cittadino, deve darsi da fare e non far prevalere il senso di sconforto di fronte alla crisi».

La segretaria vicentina della Cgil, Marina Bergamin, reclama «un vero e proprio "Piano per il lavoro". Insieme allo sforzo, che chiediamo a tutte le aziende, di continuare a usare tutti gli ammortizzatori sociali disponibili e di non licenziare. Quello che pochi indagano sono gli effetti psicologici sulle persone e le famiglie della perdita dell'occupazione: il lavoro è identità, oltre che reddito».
www.affaritaliani.it

Laboratorio delle parole,ciak2

Giovanni Farzati;Positanonews; piazzetta non lontano dal mare,sognando di diventare un giorno un Andrea Carnevale (ex bomber del Napoli) in gonnella; allenamenti nemmeno a parlarne; divertimento; un giorno (forse) se qualche squadra di calcio femminile si accorgerà di lei, ragazzina con i piedi buoni: "è brava, fuori dubbio, io ho l'occhio buono,gioca a calcio in piazzetta,un portendo,ai maschi gli affibbia sonore lezioni, avrà un futuro", b.l.scarpe da corsa sempre ai piedi, la sera scivola in poltrona, tanta televisione.

Pensionato, ha raccontatodi qquesta ragazzina "terribile" con ilpallone fra i piedi,l'hanno notata amici,compaesani.

Agnone è una località turistica balneare piuttosto nota, data la buona qualità delle acque e la posizione nel Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano. Da alcuni anni la località riceve il riconoscimento "Bandiera Blu"[1]. L'altra frazione balneare di Montecorice, è Case del Conte, a circa 5 km nord, al confine con Ogliastro Marina, nel comune di Castellabate. Negli ultimi anni si è avuta la modernizzazione del porto con la creazione del lungomare che collegherà San Nicola ed Agnone.Ultimamente si è avuto un aumento dei turisti dovuto proprio alle qualità del mare e dei servizi che offre il comune di Montecorice. Wikipedia

giovedì 12 gennaio 2012

Stop,leggi

Laboratorio delle parole, sto

Mentre in Italia si discute se il 2012 segnerà la rinascita del blog, in Francia ci si chiede se il blogger sia un mestiere e se ci si possa vivere – I responsabili della edizione d’ oltralpe dell’ HuffPO, di area socialista, sono sotto accusa per aver accolto in pieno i principi dell’ economia della gratitudine che regola i rapporti fra la grande testata Usa e i blogger – Ma c’ è chi dice che le polemiche sono solo ipocrisia, visto che in Francia, da tempo, tutte le testate avrebbero con i blogger lo stesso comportamento – E intanto c’ è anche chi ritiene il blog un’ arte da coltivare senza dover per forza ‘’reclamare uno status giuridico o fare corporazione’’, uno spazio di libertà: Il blogger e l’ autore non sanno se un giorno guadagneranno dei soldi, ma sono liberi – Da noi Pier Luca Santoro chiede però di fare un po’ di luce sui blog, citando una campagna sponsorizzata da Enel e il vezzo di alcuni blogger di non segnalare affatto di che cosa si tratta: insomma non sarebbe male, come Santoro da qualche tempo sta sottolineando, procedere all’elaborazione condivisa di un codice di autodisciplina per chi fa informazione attraverso blog e social network

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Blog e blogger tornano al centro della scena. Mentre in Italia si discute di morte e rinascita del blog, in Francia si chiedono se bloggare sia un’ arte oppure un mestiere di cui si possa vivere.

Insomma se e come andare oltre la cosiddetta ‘’economia della gratitudine’’, che domina i rapporti fra testate e blogger.

La domanda non è peregrina perché è imminente il varo di una edizione francese dell’ Huffington Post.

Ma anche la blogosfera italiana dovrebbe rizzare le antenne perché presto Arianna Huffington potrebbe sbarcare anche in Italia e bisognerà fare i conti con la politica ‘’retributiva’’ del colosso americano. Ma intanto, come segnala Pier Luca Santoro sul suo Giornalaio, sarebbe il caso di cominciare a fare un po’ di luce sui blog


La visibilità e le bollette del gas

Ma torniamo alla Francia.

L’ Huffington Post, come si ricorderà, è accusato di sfruttare i blogger che scrivono per la testata senza ricevere un centesimo di dollaro – in cambio solo di un po’ di visibilità e di prestigio - ma contribuendo in modo sostanzioso alla fortuna della casa madre.

I blogger Usa hanno aperto una vertenza dopo l’ acquisto della testata da parte di AOL, chiedendo almeno un po’ dei 315 milioni di dollari incassati da Arianna Huffington e soci. E in Francia, alla vigilia del lancio, la blogosfera è in fermento. Il dibattito tra l’ altro si tinge anche di sfumature politiche visto che questa volta è la gauche ad essere accusata di stare dalla parte dei sfruttatori.

Al centro della polemica Anne Sinclair (ex giornalista televisiva e madame Strauss-Kahn) e Mathieu Pigasse, uno dei nuovi editori di leMonde, incaricati di gestire sul piano editoriale e su quello finanziario l’ edizione francese del blog Usa. Entrambi di area socialista, sono accusati di aver assimilato pienamente la politica di sfruttamento dei blogger praticata dalla casa madre.

Perché la sinistra sostiene la non remunerazione dei blogger? Si chiede Anthony Rivat sull’ Observatoire des medias, citando una mail inviata qualche giorno fa da Anne Sinclair per reclutare i blogger.

« Questi contributi non saranno remunerati e saranno l’ equivalente delle column pubblicate da altri media. Ma noi assicureremo la maggiore visibilità possibile, almeno lo speso, alla forza d’ urto dell’ Huffington», scriveva la giornalista.

Ma gli internauti non l’ hanno presa bene.

« Né EDF (in nostro Enel, ndr), né France télécom vi abbonano le bollette per la vostra notorietà, anche se ne avete tanta », ha risposto ad esempio Pierre Serisier, giornalista e blogger per lemonde.fr.

E Roland Pavot (GdeC), blogger indipendente, lamenta che i suoi colleghi siano « attirati dal loro orgoglio e dal loro bisogno di riconoscenza ». Il suo principale rammarico, oltre allo « sfruttamento delle competenze a fini di arricchimento » del sito, è la perdita della libertà di espressione degli autori.

Ma – replica Eric Mettout su l’ Express – è curioso vedere Anthony Rivat meravigliarsi perché due personalità della sinistra francese, ‘’avversari del profitto delle multinazionali’’, siano stati incaricati di mettere in piedi questo ‘’sfruttamento delle competenze a fini di arricchimento del sito’’, quando in Francia lo fanno già tutti. E non da poco tempo.

Ecco – spiega Mettout -: i blogger fanno bene a protestare, a trattare. Ma la cosa si complica quando qualcuno mi vuole convincere che

1) Anne Sinclair e Mathieu Pigasse prestino le loro competenze di sinistra (!) a una volgare operazione di destra, contribuendo alla pauperizzazione di un nuovo lumpenproletariat proveniente dalla blogosfera; e

2) che tutto ciò sia non solo intollerabile, ma una assoluta novità. Come se in Francia i siti di informazione non accogliessero già senza compenso dei blogger, quasi sempre volontari e soprattutto maggiorenni, vaccinati, coscienti e consenzienti.

Lo fanno tutti – spiega Mettout -, a cominciare dal suo giornale, L’ Express. E – continua – succede a leMonde, all’ Obs, a Libération, al Figaro, a 20Minutes, oltre che al Post, a Rue89, e succederà sicuramente anche a NewsRing. Peggio (meglio?), con le Plus, Express Yourself, You… lo sfruttamento si estende ormai a tutti gli internauti, chiamati ad arricchire spontaneamente l’ offerta editoriale con un punto di vista che si spera sia differente –, ma sempre non pagato.

In entrambi i casi i termini del ‘’contratto’’ sono identici (e ben riassunti dalla mail della Sinclair riprodotta prima).

Provate a sostituire Huffington Post con le testate che abbiamo citato e vedrete – continua Mettout – quali sono le relazioni che le legano ai blogger: loro scrivono, noi pubblichiamo, loro forniscono contenuti originali, noi mettiamo loro a disposizione la nostra vetrina, la nostra rete, la nostra ‘’forza de frappe’’. E’ tutto chiaro, non ci sono clausole nascoste o trabocchetti, nessuno frega nessuno e, una volta che loro hanno accettato di stare al gioco, le due parti dovrebbero essere contente – e lo sono, da noi per lo meno, sempre. Non è un braccio di ferro, nessuno obbliga nessuno e io occupo una posizione che mi permette di sapere bene che quando un blogger non è d’ accordo il ‘’contratto’’ non si fa.

www.lsdi.it condensato.

mercoledì 11 gennaio 2012

Laboratorio delle parole, 1

Se muore uno di noi,quinto reporter che cade quest'anno

Giovanni Farzati; Positanonews; sempre in debito con chi si ostina a raccontarci quello che vede, sente, prova in quei contesti così assurdi, ostili, pericolosi; ma c'è anche chi da imbecille si ostina a pensare che reporter sono individui che diventano ricchi andando per guerre; la verità è uno stipendio medio; non si guadagna andando in guerra.

C’è un contratto di lavoro (per chi ha la fortuna di averlo) che è uguale per chi fa cronaca così come sport; spettacoli; politica; gli sbarbatelli quadagano due caffè, quando gli va bene; article comments made ​​with the people of the Internet Blog Scaccia, c'èanche of my course

lunedì 9 gennaio 2012

Ciuffo seducente

Una manciata di minuti di terrore, poi il lieto fine. E' successo a un volo della British Airways partito dall'aeroporto londinese di Heathrow e diretto a Glasgow, in Scozia. Poco dopo il decollo, circa 15 minuti, molti passeggeri sono rimasti impietriti dalla voce accorata che arrivava dalla cabina di pilotaggio con cui si chiedeva "immediatamente" aiuto. E questo perché, avrebbero tutti scoperto soltanto al momento del rientro, la donna pilota al comando dell'Airbus 321 e la sua copilota avevano "quasi del tutto perso i sensi".

La richiesta di aiuto è stata raccolta all'istante: un assistente di volo ha portato ossigeno in cabina di pilotaggio - secondo la procedura prevista in questi casi, mentre i controllori di volo di Heathrow ricevevano la richiesta di un atterraggio di emergenza, con il ritorno sulla pista di Heathrow. Che è avvenuto di lì a poco grazie alla copilota che si è ripresa per prima.

Quando sono sbarcati, i passeggeri, ancora sotto choc, hanno raccontato quei momenti della paura: "L'aereo ha cominciato a scendere molto in fretta", ha detto uno a cui era stato detto soltanto che l'aereo, un Airbus 321, rientrava a terra "per motivi tecnici". Un portavoce di British Airways ha confermato che entrambe le donne ai comandi si erano sentite male e "per precauzione" è stata eseguita la procedura dell'ossigeno e del rientro a Heathrow. (fonte affaritaliani.it)